IL BIT E LA FINE DEL MODERNO.

Dato che non sono un filosofo ma cerco di essere un progettista e per questo esprimo le mie idee anche attraverso opere e progetti, durante il mio intervento vi mostrerò alcune immagini:
si tratta di architetture, anche temporanee, di realizzazioni varie, di progetti, di rendering tridimensionali eseguiti al computer, di prototipi fatti con le mani…la sequenza di immagini si apre e si chiude con le foto di un quadro installazione da poco esposto a Verona in una delle mostre culturali di "Abitare il tempo". Questa installazione era una superficie pittorica (eseguita da una giovane pittrice padovana Camilla Flaminio) con otto monitor incastonati dove giravano all'infinito otto opere di altrettanti web artist coordinati da Alessandro Orlandi. Il quadro era inserito in una stanza buia, preziosamente rivestita e pavimentata con materiali artigianali e illuminata da una fascia elettroilluminescente. Sponsor Even, Padana Edile, Alma Fibre ottiche, Seven.
Alla fine della sequenza di immagini vi proporremo tre tra le opere dei web artist che interpretano liberamente i prodotti di design di Even. I tre artisti sono A. Orlandi, Valsecchi e Toniolo.
Ora mentre scorrono le immagini vorrei tentare un ragionamento cominciando da una frase che cito testualmente da Renzo Piano: "Ci faceva sognare il 2000, quando eravamo ragazzi! Ti ricordi? La fantasia non aveva freni. Caro Cassigoli, ci hanno fregato! Te lo do io il 2000! Altro che se ci hanno fregato. Hanno tolto il tram dalle città per darci gli autobus, che erano più moderni, dicevano… Ma che cos'è veramente moderno? Ce lo siamo mai chiesto? Che grande malinteso. Come se dovessimo considerare il cemento armato più moderno del legno o dei mattoni…Occorre guardarsi da queste trappole. Hai capito? E' successo tutto così in fretta che non abbiamo pensato che la modernità vera può risiedere nel materiale, nella tecnica costruttiva, nell'idea più antica. Siamo cascati nella trappola della modernità e ci siamo fregati da soli…""La responsabilità dell'architetto - Conversazione con Renzo Cassigoli ", Passigli editori, Firenze-Antella 2000".
Ecco, la modernità. Nel 1761 viene scavato vicino a Manchester un canale per il trasporto del carbone tra due miniere, nel 1771 si pubblica l'Enciclopedia Britannica, nel 1814 George Stephenson costruisce il prototipo della prima locomotiva a vapore, nel 1819 il Savannah, bastimento a vapore e a vela, attraversa l'atlantico, nel 1848 la gestione e la responsabilità della politica monetaria. Sono attribuite definitivamente alla banca d'Inghilterra. E così, con l'avvento della rivoluzione industriale, iniziano le urgenze della modernità. E così l'uomo è entrato nel '900, tra invenzioni e progresso, e alla Biennale del 1901 Rodìn espone "L'uomo senza testa né braccia", che, a simboleggiare il progresso, cammina sopra una colonna corinzia, in alto, noncurante del pericolo di precipitare nel vuoto…
Un po' prima, nel 1855 Gustave Courbét, realizzava ed esponeva "L'atelier del pittore", uno straordinario e celebre quadro dove l'artista è seduto davanti al suo cavalletto, intento a dipingere un paesaggio, assistito spiritualmente dalla musa ignuda (la bellezza) e del bambino (l'innocenza). Alla sua sinistra una folla di cittadini, di madri, di figli, di mendicanti, di povera gente, di straccioni, di vagabondi, l'ebreo che vende la stoffa ("la gente che vive per la morte", cioè di passioni e bisogni materiali), alla sua destra l'intellighentia e i potenti dell'epoca ("la gente che vive per la vita"), in prima fila Baudelaire cioè colui che analizza attraverso la poesia grandezza, genio, vivacitè e inquietudine della "vita moderna". Courbét diviene così :"il campione di un realismo che voleva essere superamento del rapporto accademico con la realtà…" Tutto in quel quadro tanto importante e tanto discusso rimanda a simboli, metafore, allegorie, giochi nascosti, visioni, aprendo la strada al realismo sociale…
Tutto ciò è di una attualità strabiliante, tanto che il curatore dell'ultima Biennale 2001 ( la prima del nuovo millennio) ha esposto come simbolo della "Piattaforma del pensiero" proprio l'uomo che marcia senza testa e senza braccia sopra la colonna di Rodìn. E tra i padiglioni, svettavano quattro installazioni straordinarie che in qualche modo riassumevano le luci e le ombre dell'era digitale. Canada: dove attraverso combinazioni non convenzionali di immagini e di suoni realistici, gli artisti ci facevano davvero perdere la linea di demarcazione tra realtà e finzione, destabilizzando la comprensione che abbiamo nel mondo. Che cosa è vero e che cosa invece ha luogo solo nella nostra mente ?La realtà si rivela fittizia, e il fittizio diventa realtà…
Fino a poco tempo fa ci si interrogava sul rapporto tra la realtà e il virtuale… ma oggi cos'è reale e cos'è virtuale? Qualcuno dice che tutto il virtuale è reale e che la realtà sempre più contraffatta e falsificata dai media e dal tubo catodico è sempre più virtuale, e per non dire falsa e menzognera .
Ecco un primo concetto che mi sta a cuore: dietro ogni realtà virtuale c'è sempre un fenomeno reale. Dietro ad ogni videogioco c'è qualcuno che lo inventa e lo realizza, dietro ad ogni software, ad ogni rendering tridimensionale c'è qualcuno che smanetta la macchina. E dietro al flop della new economy ci sono milioni di forzati della rete che perdono e cambiano lavoro continuamente, ma anche dietro alle meravigliose architetture virtuali di S. Elia c'è un uomo che le disegna.
Poi c'erano i due padiglioni della Francia e della Germania che ci obbligavano a mettere in crisi il nostro rapporto con lo spazio e con il tempo, esattamente come il bit, che produce una realtà aspaziale e atemporale… Paul Viriliò nel '98 scriveva: "La società democratica costruita sull'incontro degli individui in un luogo ( l'agorà, il foro) è sostituita da una democrazia automatica, mediatica, istantanea, senza riflessione, aspaziale e atemporale."
Infine c'era il padiglione giapponese dove, dopo aver guardato settanta istantanee da punti fissi di osservazione di vari siti a Tokyo, osservando così la megalopoli tentacolare e magmatica, la spaventosa, caotica ma anche affascinante e complessa stratificazione alveolare, l'esplosione della città, si entrava nella sala gialla, sacrale come una cattedrale delle "M" di Mc Donald's; un linguaggio comune a tutto il mondo e a tutte le lingue diverse, omologante, standardizzante; ad esclusione del suono emesso da alcune tastiere appese con lo scotch ai muri, cosicchè si capisce che è il SUONO l'unico elemento differenziante, l'unico incontro SPAZIO /TEMPORALE in una città e in un territorio OMOLOGATO e PERVASO di cemento, di logotipi e di veleni…
Ecco allora la scala globale e la scala territoriale…
Il territorio, questa straordinaria opera d'arte, la più corale che l'umanità abbia espresso. Il prodotto della relazione fra l'uomo e la natura nel tempo lungo della storia .
Un'opera coevolutiva, che cresce nel tempo, e che pure, nel poco tempo della modernità abbiamo saccheggiato e distrutto in modo incosciente…
Le urgenze della modernità ci hanno condotto fin qui a rispondere prima alle utopie della modernità, poi alle sue esigenze di sviluppo e autosostentamento e autorigenerazione fino agli ultimi 20/30 anni, all'epoca cosiddetta postmoderna, fino a far divenire questo sviluppo insostenibile, fino a far esplodere le città in periferie derelitte e orribili e a far diventare i centri storici dei salottini chic, svuotando la città della sua principale e più alta caratteristica, cioè quella della densità delle funzioni e della complessità dell'intreccio delle relazioni sociali, politiche ed economiche anche casuali e non precostruite…fino a trasformare le nostre terre in AREE MONOCULTURALI SPECIALIZZATE, in zone industriali, zone commerciali, zone dormitorio, zone del divertimento…la zonizzazione.
La specializzazione monofunzionale delle aree ha svuotato e annientato la città e il territorio…l'ipermercato, gigantesca macchina dell'intrattenimento consumistico si è sostituito alla piazza e alla parrocchia, il mottagrill al baretto dello spritz, la chat al filò…così da produrre spaesamento, irriconoscibilità, paura.
Fino al devastante incremento delle presenze materiali generate ininterrottamente per diventare rovine anzitempo (Maldonado). Fino all'invasione di oggetti inutili, alla creazione di bisogni inutili, alla persuasione del linguaggio pubblicitario, alla perdita di senso, alla semantizzazione pubblicitaria delle costruzioni e delle opere e del territorio, e così in questo marasma di milioni di necessità e di urgenze emerge la cultura prestazionistica di chi vuole distinguersi, differenziarsi, spiccare, mostrasi agli altri anche attraverso il progetto e il design. Ma emergono anche le CATEGORIE-ZOMBIE della prima modernità (da una felice definizione contenuta in un recentissimo libro di Ulrick Beck) come quella che riterrebbe la vicinanza geografica come produttore di vicinanza sociale. Quasi tutta la teoria politica amministrativa, la sociologia, la progettazione architettonica hanno un pregiudizio territorialistico che è necessario ripensare radicalmente di fronte all'apriori digitale di un mondo nel quale ogni parte è connessa a tutte le altre, dove i confini diventano indipendenti da quelli spaziali e vengono ritracciati (Querelle tra J.Nouvel e R. Koolhans)…mi viene in mente Zanzotto che racconta di una vecchia osteria veneta " L'Osteria al Cantòn" che diventa Bar al, Cantòn poi Snack Bar al Cantòn e infine Corner Pub (corner come eco del vecchio cantòn) diventando una specie di astronave discoteca con luci psichedeliche, videogiochi, schermi e musica a tutto volume…eppure si è tramandata di generazione in generazione e i proprietari sono sempre loro, la stessa venetissima famiglia della prima osteria…la necessità di riflettere lo spirito dei tempi, di adeguarsi ai nuovi costumi e consumi e alle nuove location…questa non è l'omologazione globalizzazta del Mc'Donalds del padiglione giapponese, è un'esigenza che nasce e cresce all'interno di noi…è pura necessità di sopravvivenza…anche se è come naufragare nello stagno di casa.
L'homo tecnologicus consumans che si autorigenera e che si deterritorializza e si depoliticizza, che perde cultura e identità ma che si adatta per sopravvivere.
Incredibilmente è già entrato, come spinto da un onda o da un vortice più grande di lui, senza saperlo, nella seconda modernità; nell'era dell'incertezza, nella società mondiale del rischio (sempre Beck) cosmopolita e senza confini.
E' molto più avanti del potere politico amministrativo che è ancora burocratizzato nei campanili, nei paesotti, nelle città, nelle provincie, nelle regioni, negli stati nazionali e nella supposta pretesa di governare il caos…
Nell'era digitale, cioè oggi, il confine politico/territoriale è totalmente inadeguato. Lasciando perdere l'11 settembre e la coalizione transnazionale e transpolitica che si è dovuta costruire con drammatica urgenza per cooperare contro il terrorismo, possiamo citare ad esempio i nostri territori del Nordest come paradigma ed esempio calzante.
Qui si produce di tutto ed a livelli di eccellenza mondiale, i comparti produttivi di eccellenza con tutte le reti di fornitori, subfornitori, agenzie commerciali, e tutto il resto…questo territorio cioè diventa luogo adatto a rilocalizzare aziende "virtuali" che utilizzano il diffuso per produrre, commercializzare , trasportare, vendere…ma nella Los Angeles veneta ogni paesetto ha il suo P.R.G. e la sua zona industriale, la sua zona commerciale e via discorrendo finché oggi territorio non ce n'è più e le varie aree si sfiorano, si sovrappongono, si combattono l'un l'altra con la logica del campanile… E così lo sviluppo rischia l'autodistruzione, dopo aver distrutto il territorio e inondato le nostre case di miriadi di oggetti, per mancanza di un progetto, per mancanza di comprensione, per inadeguatezza delle politiche burocratiche amministrative, per pura e arcaica cecità…comuni che non si rapportano con le provincie e le regioni, quartieri che si scontrano l'un l'altro, persone in perenne e feroce competizione contro le altre della propria stessa superspecializzata categoria …
E' l'incomunicabilità totale e planetaria tra le persone , tra tutti i sistemi ed i sottosistemi dei poteri e dei saperi.
E' la specializzazione monoculturale, è la parcellizzazione delle discipline…La modernità in caduta libera…l'era finale del'900 postmoderna, dell'altrove, del dopo. Ma il post è il bastone da ciechi degli intellettuali, che non si domandano più cosa avviene, ma cosa non succede più. E il BIT cos'è, cosa può fare? Cosa fa?
CONNETTE orizzontalmente, è cosmopolita, è transnazionale, non pretende di contrapporre la tecnica all'etica, come alcuni patetici detrattori dell'innovazione vorrebbero fare per migliorare le cose, dimenticando che l'etica con tutta l'importanza che pure dovrebbe tornare ad avere, non è vincolante e vincente rispetto alle regole altre che governano la nostra epoca…
Il BIT lavora a togliere, sottrae, semplifica, cambia, velocizza…Qualcuno mi ha detto che il BIT è VERDE. Internet è una prateria sconfinata, è una terra di conquista per le caste dei nuovi potenti, ma anche per tutti gli altri: è una nuova civiltà in embrione dove la vicinanza semantica o la lontananza non hanno legami con la vicinanza territoriale e ideologica.
Internet smaterializza.
Semplifica.
Diffonde.
E' contatto.
Forse aiuta ad individuare le categorie zombie della prima modernità e della postmodernità come la contrapposizione tra localismo e globalismo, tra identità e alterità, tra reale e virtuale, del governare l'incertezza…come la contrapposizione tra libro carteceo e libro elettronico o tra posta ordinaria ed e-mail o tra depliant e sito.
Forse potrebbe aiutare a prendere consapevolezza nell'accettare l'instabilità, nel rinunciare alla pretesa tipica della modernità, delle previsioni a lungo termine (poi quasi sempre almeno negli ultimi 20 anni fallita o naufragata).
Forse potrebbe aiutarci a migliorare i nostri progetti, a realizzare quello statuto dei luoghi, per prendersi cura del territorio con tutte le sue fabbriche, le arti e mestieri, le sue osterie ed i suoi alberi (A.Magnaghi).
Per concludere, sperando non si trasformi in una pippa planetaria, o peggio, nella peggiore tra tutte le peggiori innovazioni tecnologiche del 900, sperando insomma non sia l'ultima delle bufale della modernità, internet potrebbe forse rappresentare una speranza di miglioramento, potrebbe decimare il virus televisivo, potrebbe diffondere conoscenza , lasciare più spazio alla poesia, all'arte, al cinema e alle nuove straordinarie creatività …
Certo, l'Ospedale degli Innocenti è stato costruito da Brunelleschi senza il computer e la filosofia umana si è trasmessa senza internet. Si può fare un buon progetto senza il computer o con il computer e tutti i software più innovativi; si può disegnare un bell'edificio senza l'autocad e un bell'oggetto senza il solid thinking, come contemporaneamente in internet si possono costruire nuove aree semanticamente vicine ed interconnesse tra loro, capaci di trovare una nuova conciliazione tra i saperi e la tecnica e le scienze. Nella seconda modernità, nell'era mondiale del rischio, filosofi e architetti, sociologi, teologi e biologi potranno lavorare interconnessi con gli scienziati ed i politici, con i ricercatori e le multinazionali per trovare NON un nuovo rinascimento o una ripartenza temporale della modernità, bensì per cominciare almeno una semplificazione ed una sottrazione, un alleggerimento, una smaterializzazione delle categorie zombie della modernità…per rifondare un concetto di normalità nel progetto, per responsabilizzarsi verso un progetto sostenibile… Insomma, l'uomo senza braccia e senza testa è caduto dalla colonna? Oppure è ancora lì sopra a sognare una società migliore, con più civiltà, un progresso umanizzato? Il Capitano Achab è ancora pronto a sacrificare tutto per il suo sogno? Oppure diventeremo tutti dei Robinson Crousue nei deserti delle reti e delle megalopoli?