IN DIFESA della CITTA'

Di Claudio Caramel

In occasione del premio Smau e di alcune recenti manifestazioni fieristiche ed anche in occasione della divulgazione dei risultati di alcune statistiche sul futuro sviluppo esponenziale di internet in Europa, si è assistito ad un proliferare di certe strumentali esaltazioni della grande rivoluzione telematica e di premonizioni futurologiche sulle supposte relazioni tra le nuove tecnologie e l'assetto del territorio, ad opera di certi urbanisti, o di architetti tuttologi e filosofi.
Si sente parlare di scomparsa della città, di "comunità senza contiguità", di domestic system, di nomadismo elettronico, di MUPPIES (termine coniato proprio in occasione dello Smau) ovvero Multimedia Urban People Pushing Internet Economy, di mutazioni e ancora e sempre più di futuro. Si è innescato un dibattito, spesso aspro e polemico, sulle mutazioni epocali che si starebbero verificando ai vari livelli a causa dell'avvento dell'informatizzazione del mondo e della digitalizzazione dei flussi di comunicazione, CHE PORTEREBBERO AD UNA VELOCISSIMA SMATERIALIZZAZIONE GLOBALE.
Paul Virilio dice "....si osserva chiaramente che alla scala della città, dell'architetturae dell'oggetto di design la questione del tempo diventa prioritaria rispetto a quella dello spazio"(Domus n°800) cosicchè la compressione temporale provocata dall'istantaneità della comunicazione nella "Global City" parrebbe eliminare, nel tempo dell'immediatezza, le proprietà spaziali dell'architettura e del design.
Come si vede il tema è scottante, spinoso, filosoficamente fondativo; anche se si potrebbe tranquillamente affermare che, dall'avvento della prima rivoluzione industriale, per un secolo abbondante, pensatori, filosofi, architetti, si siano ininterrottamente e giustamente interrogati sulle mutazioni provocate dall'innovazione tecnologica.
Tomas Maldonado nel suo "Critica della ragione informatica" (ed. Feltrinelli) in una nota al capitolo 2 richiama l'attenzione sul rapporto tra il Telefono e il Grattacielo (" Benchè d'acchito possa apparire singolare ....come osserva John Carter (1908), è evidente che la possibilità di verticalizzare gli uffici di un'impresa, distribuendoli su molti piani, diventa reale solo con l'avvento del telefono, uno strumento atto a facilitare la comunicazione tra i diversi piani senza ricorrere al trasferimento verticale delle persone stesse".)
Crompton nel 64 già scriveva la "computer city" prefigurando fantastiche raffigurazioni urbane;Lyotard nel suo celebre "La condizione Postmoderna" del 79 scriveva :"é ragionevole pensare che la moltiplicazione delle macchine per il trattamento dell'informazione investirà la circolazione della conoscenza...." E Baudrillard nel saggetto "la sparizione dell'arte" (1988) già individuando il grado xerox della cultura diceva "Se l'arte si è dematerializzata è per il fatto che mette in circolazione oggi ben più che opere, IDEE, SEGNI, ALLUSIONI, CONCETTI".
Senza voler assolutamente sminuire la portata della rivoluzione telematica e delle trasformazioni culturali, delle modificazioni dei costumi sociali, delle nuove prospettive date ad esempio dal telelavoro e di una nuova organizzazione commerciale di vendita on-line - cosa ne sarà delle librerie, dei negozi di dischi, dei megastore, delle agenzie viaggi fra qualche anno ?-credo però sia imprudente accordare eccessivo credito ad esagerate previsioni futurologiche sulla sparizione della città.
La città vilipesa e offesa da 30 anni di fallimenti di certa urbanistica, con le sue sconfinate periferie derelitte contrapposte ai salottini chic dei centri storici, con tutti gli errori commessi e gli obrobi costruiti , a dispetto di tutto e di tutti, la città resiste.La città resta il luogo primario dello sviluppo della civiltà; con la sua millenaria stratificazione complessa di cultura e di storia, di modi di vivere, di civiltà diverse, di socialità diverse;la città resta il luogo privilegiato dell'interazione solciale e fisica, della sovrapposizione del pensiero e delle idee, dell'incrocio dei flussi culturali ed economici;la città resta la griglia ove organizzare la propria vita.
Certo lo sfacelo del territorio ha portato a risultati pericolosi ed allucinanti, sia nelle metropoli che nelle conurbazioni diiffuse intorno ai centri mediopiccoli della cosidetta provincia.L'idea della zonizzazione (aree del terziario, aree industriali, aree residenziali ecc. ecc.) ha provocato in molti casi un'eccessiva divisione specializzata dei luoghi, diminuendo sensibilmente l'integrazione delle funzioni, che in fondo è quanto di più straordinario la città abbia espresso storicamente.
I ghetti della funzione predeterminata sono un risultato su cui meditare.In fondo dove si vive meglio?In quei luoghi dove le funzioni si mischiano, si integrano tra loro in una complessa trasformazione quotidiana, dove lo shock tecnologico conviva con la familiarità di tradizioni locali, di gesti e percorsi sedimentati nella storia. L'idea che si possa vivere senza città, perché c'è la nuova tecnologia, è disperante.
"...Qualche sciocco esalta la grande rivoluzione telematica e pensa davvero che si potrebbe vivere e lavorare stando sempre in campagna, salvo poi spararsi un colpo in testa...." (R.Piano il sole 24 ore 31-10-99.)L'urgenza di oggi non è quindi quella di prefigurare fantascientificamente una global city telematica dove i luoghi dell'incontro saranno quelli virtuali nei computer e dove la gente, rintanata in microappartamenti ipertecnologici, dall'home theatre, espleterà le sue funzioni vitali;bensì quella di rigenerare le conurbazioni, di costruire degli edifici normali ed onesti, di abbattere i mostri, di reinventare i luoghi, di ritrovare un'identità sociale ed artistica del tutto nuova ove la buona architettura riprenda il sopravvento sull'economia e la cultura sulla politica, di reinventare una nuova quotidianità urbana capace di garantire spazi di libertà per tutti, al posto dell'attuale ordinaria quotidianità del tubo catodico e del mottagrill e del centro commerciale e dell'attuale tendenza monoculturale della separazione delle funzioni turistiche , economiche, commerciali, del divertimento.
Data la vastità del tema città, e le difficoltà d'interpretazione, abbiamo sentito l'opinione del prof. Michele Sernini, uno dei massimi studiosi dei problemi urbani, docente di Gestione urbana all'università di Reggio Calabria;già autore di testi come "Il governo del territorio "(1973 Angeli ) "La città disfatta " (1988 Angeli) e sempre per i tipi di F. Angeli nel 1996"Terre sconfinate-città, limiti, localismo". Michele Sernini, dalla fine degli anni 60, si occupa instancabilmente di città, pubblicando spesso con molto anticipo, anche saggi di fondamentale importanza scientifica sul tema qui trattato come "la telematica e le città virtuali "(83), "la memoria del futuro" (86), "Alcune note sugli effetti territoriali delle applicazioni telematiche" (1984). Nel breve saggio inedito che ci ha gentilmente concesso, pare non voglia parlare di nuove tecnologie, di cui ha già parlato molti anni fa, ma invece voglia riportare il ragionamento sulla città, IN DIFESA DELLA CITTA'.

 

LE POLITICHE IN MATERIA DI CITTA'

di Michele Sernini

Senza ripetere quanto già detto in varie sedi, vorrei richiamare l'attenzione su tre ordini di aspetti che non essendo stravaganti nè personali dovrebbero seriamente far riconsiderare anche in Italia la politica in materia di città e in favore delle città (almeno, nell'ambiente degli urbanisti; spesso economisti, amministratori, politici, geografi, si sono occupati di città negli ultimi decenni).

a) elementi di fatto:

1) la politica dell'Unione Europea richiama l'attenzione sul valore e sull'importanza di centrare la dinamica futura economica e territoriale ancora sulle città, intese non certo solo come patrimonio storico, ma proprio come entità di valore storico ma al tempo stesso attuale, sociale ed economico, derivante dal fenomeno aggregativo urbano e metropolitano contemporaneo, e raccomanda anche di non esagerare con gli insediamenti a bassa densità. Diversi ambienti ecologisti tendono a dare battaglia anche in quelle sedi europee per amore dei loro temi, ma non sembra che le necessità attuali possano orientare la politica territoriale europea in senso antiurbano o in senso di sola conservazione del "patrimonio" con valore culturale o economico-turistico. Anche se - e proprio perchè - la città europea è, come riconoscono gli organismi dell'Unione Europea, piena di problemi legati a disoccupazione, condizioni ambientali, congestione del traffico, povertà, alloggio, criminalità, droga, "le città europee restano tuttora la sorgente primaria della creazione di ricchezza e agiscono come centri di sviluppo sociale e culturale" (D. Etherington, M. Chapman, "Planning Cities for the Twenty-first Century : the Need for a New Welfare Model?", in Ph. Allmendinger, M. Chapman, Planning Beyond 2000, 1999. Si veda inoltre, sulla urbanità europea, il geografo J. Lévy, Europe. Une géographie, 1997, rist. 1998 ).

2) il fatto di lungo periodo delle migrazioni in territorio europeo costringe a rivedere i vecchi quadri concettuali in materia di città europea, non solo ad aggiornarli ( M. Sernini, Terre sconfinate,1996, e M. Sernini, Milano. Una forma di città,1998; S. Sassen, Migranti, coloni, rifugiati, 1999; A. Maalouf, Les identités meurtrières,1998. Per Bologna, ad esempio, uno studio sociologico ( P. Guidicini, G. Pieretti, Città globale e città degli esclusi,1998) richiama l'importanza dei luoghi urbani nel territorio metropolitano per l'organizzarsi di nuove forme di convivenza.

b) orientamenti recenti in alcuni altri paesi.

1) In Francia, un rapporto commissionato dal Ministro per l'occupazione e la solidarietà sociale ( J-P. Sueur, Demain, la ville, 1998 ) si occupa della città o anche di estese agglomerazioni in senso completo, tendendo ad evitare le città museo. Di un rilancio urbano si interessa anche chi si occupa di grandi magazzini .

2) In Inghilterra, un rapporto di ambienti governativi elaborato dalla Urban Task Force (Towards an Urban Renaissance, 1999). si preoccupa del deperimento urbano, e consiglia riaddensamenti e misure fiscali di disincentivo per chi costruisce fuori città, ed è noto da tempo che tra i motivi di preoccupazione vi è anche l'abbondanza, che si intende ormai frenare, di grandi strutture commerciali extraurbane.

3) Negli Usa, un Rapporto governativo del Department of Housing and Urban Development, intitolato "New Markets: The Untapped Retail Buying Power In America's Inner Cities" di cui si ha notizia nel luglio 1999, scopre l'immenso potenziale commerciale delle zone interne anche non ricche delle città, e sottolinea l'opportunità che lo sviluppo di queste potenzialità di mercato possa contrastare anche il continuo ricorso al mall suburbano. E' solo l'ultimo elemento di un orientamento politico che da qualche anno mira a suggerire un qualche riaddensamento degli insediamenti. Si riconosce "la necessità di strategie congiunte città/suburbio rivolte al problema dello sprawl e del declino strutturale delle città e dei vecchi suburbi" ( Rapporto governativo The State of the Cities 1999; si vedano anche i Remarks di Al Gore presso l' American Institute of Architects, Washington, gennaio 1999).

c) qualche elemento di dibattito.

Questi importanti ripensamenti di politica insediativa sono paralleli ad un dibattito a più voci, varie volte ricordato, che si sviluppa negli ultimi anni, e dal quale emerge per esempio, dice il geografo J. Lévy, (Dix propositions sur le gouvernement urbain, nel volume diretto da T. Spector e J. Theys, Villes du XXIe siècle. Entre villes et métropoles: rupture ou continuité?, 1999), come spesso, al pari della perdita di un misto di funzioni in città, "l'apparizione di 'centralità emergenti' in periferia è stato subìto, pensato alla scala micro delle cause senza venir pensato alla scala macro degli effetti", mentre sembra riprendere piede, sul mercato delle idee urbane, un modello olandese che valorizza densità diversità e complessità, anche se per il momento questo non sembra ancora il risultato di un dibattito ampio ed esplicito.
Aggiungiamo che negli Stati Uniti, spesso considerati come un inevitabile modello di assetto territoriale da molti urbanisti che sostengono il diffuso e la gentrification dei centri storici, in occasione di avvenimenti sociali di forte impatto emotivo maturati spesso nel disagio sociale giovanile del suburbio si sviluppa un dibattito tra sociologi, pianificatori, e geografi, sui difetti dei suburbi e anche delle privatopie e delle cittadine disneyane considerando i problemi della difficile interazione sociale nel suburbio rispetto ai contesti urbani dove di solito è invece maggiormente possibile. Recente è anche il dibattito politico sugli aspetti socialmente più preoccupanti della gentrification e della delocalizzazione forzata dei ceti meno abbienti dalle zone "recuperate", secondo le problematiche vecchie ma non esaurite della partizione tra città dei ricchi e città dei poveri, gli uni dentro alla città storica e gli altri fuori, o viceversa, partizione che spetterebbe alla politica non rendere totale. La ricerca della "coesione sociale" nella città rientra ancora, per molti, dentro agli obiettivi della politica urbana del futuro (ancora il saggio di D. Etherington e M. Chapman, appena citato), e negli ultimi tempi sembra in verità sempre più pressante.
Cominciano infine ad emergere perplessità - non solo dettate da nostalgia, ma anche per considerazioni di efficacia - sulla visione di un rimaneggiamento tutto turistico delle città (D.R. Judd. S. S. Fainstein, The Tourist City,1999, e anche P. Kupfer, "Lost in Space. Has Sony miscalculated by adding urban malls to its product line?", Metropolis, novembre 1999). Cosa che si aggiunge alle considerazioni su un generale e ormai evidente "troppo pieno" dei luoghi turistici, con poi tutta la insoddisfacente anche se frequentatissima popolare e mirabolante coorte di false Venezie o false e costose Parigi in scala ridotta a Las Vegas.
Il "tipo" città gode dunque ancora di buona stampa, recente. Forse ha un senso l'ottimismo di un noto studioso di città e di pianificazione (P. Hall, Cities in Civilization,1998) : coloro che trovano sgradevoli le grandi città possono pure andarsene fuori, verso gli arcadici suburbi e le città giardino, e la politica dovrà aiutarli a farlo, se è questo che vogliono; le città sono state e sono posti del tutto differenti, posti dove l'adrenalina pompa attraverso i corpi della gente e attraverso le strade dove camminano, posti disordinati e a volte sordidi, ma ciò nonostante posti superbamente degni di essere scelti per viverci.
Un richiamo più letterario, che coinvolge i centri commerciali ma anche le normali strade di una città, lo troviamo in un dialogo di Underworld di De Lillo, 1999:

"- Lavoro con ingegneri e urbanisti.
- L'altro giorno ho pranzato in un grigiore meccanico: in un anonimo centro commerciale.
- Noi non ci occupiamo di centri commerciali, ma di strade.
- E cosa fate alle strade?
- Le rendiamo vivibili, sopportabili......."

Link: www.smau.it