Fine Settembre 1999

Nel frattempo la mia vita in città proseguiva come sempre; appuntamenti, disegni, relazioni, consulenze; Padova, Milano, Longarone, Firenze, Venezia, Udine, Trento; una coppia di nuovi clienti; qualcosa di nuovo a cui pensare, l’apertura di un nuovo cantiere. La famiglia, i figli, mia madre, i miei fratelli e qualche amico. Cercavo di preparare una relazione per un convegno, ma capivo d’essere distratto ed anche un po’ svogliato.

Il titolo del mio intervento era "Nordest: capire le mutazioni. Design, arte, artigianato." Per prepararlo lessi anche qualche testo di storia sul triveneto e qualche ricerca più recente sulla economia diffusa del Nordest.

Le giornate passavano con il solito frenetico accumularsi di impegni, attraversate da innumerevoli incombenze tanto da lasciare poco tempo alla lettura, ai miei interessi e soprattutto alla mia famiglia. In quel periodo non ero proprio in forma, qualche fastidioso malanno mi disturbava e mi obbligava ad un regime alimentare di totale morigeratezza. Ma forse proprio la drastica eliminazione di alcolici, del caffè, della carne, del formaggio, insomma di quasi tutti i piaceri della tavola, disintossicando il mio corpo, mi rendeva più tranquillo e mi ripuliva anche la mente donando ai miei pensieri un rinnovato vigore ed una certa qualità di selezione. Così mi ritrovavo spesso a ragionare su argomenti che la ripetitività ossessiva degli impegni e delle responsabilità troppo frequentemente tengono lontano dal proprio universo. Pensando a Giacomo, mi rendevo conto con lucidità e cinismo della nebbia implacabile in cui pian piano ero sprofondato, non senza soffrirne; pur tentando in ogni modo di salvaguardare la mia libertà di pensiero, mi rendevo conto di essere caduto come un soldato al fronte, d’aver sacrificato cose troppo importanti per me, per la mia creatività, per la mia serenità e per la mia salute. Pensavo a quella giornata passata sull’altipiano con un senso struggente di rimpianto; in così poche ore avevamo accordato le nostre menti con un rispetto reciproco assolutamente privo di formalismi e banalità; in una sola giornata di aria pura, avevamo affilato la nostra sensibilità come una lama non per duellare o competere, ma solo per cercare di conoscerci. L’eleganza della sua gentilezza, priva di fronzoli, così liscia e tenue ma al contempo così solida e chiara rendevano quel ricordo ancora più dolce. Conoscevo i suoi anni, eppure pareva un uomo dall’età indefinibile. Un ragazzo entusiasta, un saggio pacato; un uomo maturo e sicuro, un giovane poeta.

Passavano i giorni, la partenza si avvicinava. Mi impegnavo spesso a raccogliere qualche cosa per Giacomo. Più che per soddisfare bisogni materiali, mi sentivo di poter cercare qualcosa di spirituale. Per vanità anzichè per sincero spirito di collaborazione non mi limitai ad acquistare i tre dischi richiesti ma ne presi anche altri e così feci con le altre richieste per fortuna poi lasciai tutto a casa.
Ma ero indeciso, confuso, insicuro, nervoso come quando da ragazzi si attendeva il primo incontro con la fidanzata.
"Posso portare lo stesso i dischi" pensavo " poi gli faranno comodo per gli scambi."
Ma, dopo molti ripensamenti, optai per rispettare le sue richieste con solo qualche piccola aggiunta a completamento.
Finalmente arrivò l’ultima settimana di settembre, passai indenne dal mio quarantaduesimo compleanno ma non da una umiliante gastroscopia in ospedale, ricevetti via fax la conferma di aver ricevuto un premio di architettura nell’attesa di veder pubblicata una mia opera nell’almanacco di Casabella; mi fu assegnato anche un buon incarico di Direzione artistica di una nuova produzione di accessori per la casa e partecipai ad un pranzo molto importante. In fondo, a parte la salute, si poteva tranquillamente ritenere che tutto andasse bene, ma invece ero inquieto, contavo le ore, non vedevo l’ora di partire!