Articolo FABRICA -Claudio Caramel-11 ottobre 2000

 

Quando Benetton decise di affidare l'incarico a TADAO ANDO ,ormai 9 anni orsono, per la progettazione del suo nuovo centro ricerche voluto da OLIVIERO TOSCANI , fiumi di parole spesso polemiche riempirono i corridoi Universitari , le sale convegni, gli studi professionali e le tavole imbandite degli Architetti italiani. Polemiche pretestuose da una parte, occasioni di ragionamento dall'altra su una scelta ardita e coraggiosa, sorprendente ai più, per alcuni addirittura inadeguata. Nel 1982 Tadao Ando non era ancora il celebrato autore di opere quali il Daylight Museum a GamoGum (1998) , il Museo di Hyogo (1997) ed il Manchester City Centre (1999). Non aveva ancora vinto il Pritzker ; le scuole di Architettura dibattevano su temi come il sito ed il luogo, sconfinando spesso su concetti quali " regionalismo " ed " identità territoriale "; internet quasi non esisteva né parole come " globalizzazione " o " economia planetaria " erano entrate come oggi nel vocabolario comune. Premesso che un imprenditore privato può incaricare chicchessia per le sue realizzazioni e che le sue scelte non sono vincolate da alcun obbligo sociale, amministrativo né tantomeno morale o etico se non nel rispettare le Leggi, mentre il contrario dovrebbe essere per le opere pubbliche, ecco, nell'ormai lontano '92 Luciano Benetton ha anticipato e sorpreso tutti fin dal primo passo della lunga avventura di FABRICA , assegnando l'incarico ad un grande Architetto giapponese, individuando un'area già parzialmente definita da un confine ferroviario e da una preesistenza seicentesca, chiedendo al progettista di reinventare un luogo rispettando il paesaggio e confrontandosi con l'ambiente circostante per, costruire " l'avanposto di frontiera dalla cultura d'impresa del gruppo Benetton ". La figura della committenza , nel caso di FABRICA, è centrale e fondativa. Nel complesso percorso minato e labirintico di una importante realizzazione architettonica , soprattutto in Italia, la committenza può essere più o meno determinante , può rivestire un ruolo più o meno vincolante, può in qualche caso raro generare una virtuosa spirale entro cui far ruotare le mille istanze diverse di un progetto. FABRICA è un caso emblematico. Già l'idea di costruire un edificio per ospitare un centro ricerche internazionale e multimediale , finalizzato alla formazione dei giovani attraverso la partecipazione a progetti " concreti " , ove gruppi di lavoro e di culture diverse dialogano e si confrontano tra loro, è di per sé innovativa; ma anche anticipatrice di ciò che oggi stà avvenendo con l'avvento della " 3' rivoluzione industriale " grazie alla quale il flusso veloce e trasversale delle nuove idee si comunica attraverso nuovi strumenti e nuove modalità tecnologiche. Già l'idea di costruirlo intorno a Treviso, propone una volta di più il legame tra un'azienda internazionale ed il suo territorio insediativo d'origine, proponendo ogni realizzazione necessaria all'azienda come un'occasione per "valorizzare" e non semplicemente "occupare" spezzoni di territorio, un'occasione per edificare opere di architettura di qualità confrontandosi con un ambiente in gran parte deturpato da un incosciente sviluppo diffuso ma pur sempre patria del PALLADIO e di straordinarie preesistenze e di meravigliosi francobolli di paesaggio sopravvissuto. Una " filosofia imprenditoriale " di un grande gruppo internazionale ma comunque legato al suo territorio, già espressa magnificamente dai precedenti lavori tra i quali ricorderei la grande fabbrica di Castrette e l'illuminato restauro della Villa Loredan a Venegazzù, sempre affidati ad Afra e Tobia Scarpa. Anche dal rapporto con gli Scarpa sono nate alcune opere che non ho alcun timore a definire tra le più significative del patrimonio culturale della nostra architettura. Alcuni potranno obbiettare che con i soldi dei Benetton , con il loro potere e con il loro acume imprenditoriale, sarebbe facile per molti fare buona architettura. Non credo proprio : se così fosse centinaia di bellissimi edifici sorgerebbero come funghi nei nostri territori disseminati di centinaia di committenti molto facoltosi, invece succede perlopiù il contrario: l'obiettivo perseguito dai più è costruire nel minor tempo possibile ed il più economicamente possibile scatoloni prefabbricati ricoperti da insegne pubblicitarie. Come scrive Francesco Dal Cò " il progressivo inaridimento della committenza ..... lo stato di depressione dell'architettura italiana" hanno prodotto negli ultimi anni un risultato che è sotto gli occhi di tutti ed è inconfutabile. La distruzione indiscriminata del territorio, il decadimento del patrimonio culturale architettonico, l'indifferenza della committenza, il panorama politico così drammaticamente inguardabile, il predominio della economia e del profitto sulla cultura e sul pensiero. Il mercato, impalpabile e disciolto nel pianeta , è l'unico dittatore e domina la politica e la cultura ormai in ogni dove .... Il caso FABRICA dovrebbe rappresentare almeno una scintilla, un esempio per molti imprenditori e molti architetti ; tutti dobbiamo cercare di dare un contributo di opposizione all'indifferenza ed allo scempio, un contributo per la buona architettura e per sostenere la figura civilmente irrinunciabile del " committente illuminato ". Così, al di là dell'alto esito di quest'opera emblematica, al contempo decisa e discreta, solida e poetica, seccamente coerente ma anche sottilmente rispettosa, questo edificio rappresenta in modo irripetibile una frontiera, un avancorpo, una lancia in difesa della cultura e dell'architettura ; un segnale potente agli amministratori ma anche agli imprenditori , un monito impietoso contro l'incultura dilagante e la strisciante indifferenza. Voglio dire che l'opera di per sé potrà piacere così come potrà non piacere ad alcuni ( A ME PIACE MOLTO ) ; altri potranno persistere nella loro teoria , già ampiamente espressa al momento dell'incarico, del difficile confronto " con un contesto ambientale così inusuale" per il grande architetto giapponese ; ma tutti da oggi dovranno ammettere che l'opera è stata realizzata ed è lì, col suo vellutato calcestruzzo, a significare che un imprenditore può ancora spendere molto bene il suo denaro ; che anche in Italia, sia pure tra mille inestricabili difficoltà, chi fortemente vuole realizzare un'idea così potente, può farlo davvero. FABRICA significa di più perché segnala anche ai più affaticati tra i nostri " produttori di idee " che il piagnisteo tanto diffuso tra gli intellettuali lascia il tempo che trova ............ L'inaugurazione , celebrata giovedì 21 settembre 2000, ha riempito l'edificio di intellettuali ,di artisti, di musicisti, di attori, di scrittori, di editori, di giornalisti, di critici, di alcuni imprenditori, qualche sporadico amministratore ed ovviamente di architetti e designers, in perfetto stile FABRICA , trasversale e non monoculturale. L'edificio ha reagito bene : parlavo con Marco Paolini dal centro della ellittica piazza interrata a quota - 9 , ascoltando la musica dei tamburi, vedendo panopticamente tutti gli invitati intorno a noi e guardavamo il cielo passare come in un cannocchiale : " nelle nostre città non si vede più il cielo.......... " Poi camminavo lungo la spina dorsale interrata dell'edificio sotterraneo e scoprivo bellissimi posti di lavoro , aule, sale e salette molto interessanti e spesso sorprendenti. Poi, uscendo dalla scalinata ho capito come il progettista ha sezionato con il buco ellitico i piani dell'edificio interrato ottenendo volumi e curve e rette sovrapposte quantomeno inusuali e di un virtuosismo progettuale costruttivo straordinario. Ho guardato il tetto dell'edificio , che è un prato, ed ho cercato di capire i ragionamenti fatti per mettere in relazione la villa, il terreno, l'edificio interrato, il paesaggio con la ferrovia, le barchesse .................. E mentre camminavo incontravo amici, conoscevo persone nuove, ammirando la semplice coerenza e la cura nei dettagli delle pavimentazioni , come la secca bellezza dei serramenti industriali , la qualità delle lastre in calcestruzzo e così ragionando, ho toccato con mano ed ho verificato che l'idea antica di una grande opera come sintesi complessa di una molteplicità di fattori concomitanti , è ancora valida nel 2000. Dal committente, al grande artefice, tra le loro idee ed il loro confronto, mille fattori diversi, maestrie artigianali sedimentate storicamente, operosità e genialità, il vecchio ed il nuovo e tante persone diverse fino all'ultimo " scalpellino ", tutti concorrono insieme alla realizzazione finale . Mi piace pensare che la gente di un'intera area geografica ha contribuito alla realizzazione di quella virtuosa spirale e così mi è facile concludere con le parole stesse di Tadao Ando : "Mi ha fatto piacere vedere che l'abilità degli architetti del passato, come Carlo Scarpa, vive ancor oggi nella qualità del lavoro degli artigiani che hanno eseguito lo "stucco veneziano" , e anche nel lavoro dei tecnici che hanno realizzato un cemento finito di qualità pari a quella dei migliori lavori in cemento del Giappone, come dimostra il fatto che le pareti gettate cinque anni fa hanno mantenuto inalterata la qualità di allora. Infine, cosa ancora più importante, ho potuto osservare in coloro che hanno costruito FABRICA l'equivalente dello "Yutori" , un concetto giapponese che esprime la libertà connaturata al processo di creazione ; concetto che, apparentemente perduto dalla società contemporanea protesa verso la crescita economica e produttiva, mi sembra qui esistere ancora ed essere molto apprezzato. Riconsiderando in prospettiva questo lavoro, iniziato nel 1992, interrotto dal 1994 al 1999 per impedimenti di varia natura legati alle procedure per ottenere le autorizzazioni dall'amministrazione comunale e regionale, non posso fare a meno di pensare alla lunga strada percorsa fino ad oggi. Come architetto , era veramente molto tempo che non mi capitava di aspettare il completamento di un progetto con una tale ansiosa impazienza". Claudio Caramel